Auguri agli sposi: la “mnestra marià”!

Lei è – se si dovesse fare una graduatoria dell’amicizia – quella che probabilmente definirei “la mia più cara amica”. Ci siamo incontrate all’università, quando, rinchiuse in vecchie cripte sotterranee, cominciavamo a studiare la Storia della Chiesa nel medioevo… e inspiegabilmente, chissà perché, abbiamo scoperto di avere molti interessi in comune. Da lì è nata un’amicizia che si è cementata nel tempo e che, contro ogni ragionevole aspettativa, sembrerebbe addirittura in grado di sopravvivere alla distanza, calcolando che continua ad andare avanti nonostante il mio trasloco improvviso in un’altra regione. Il che potrebbe essere una cosa scontata per alcuni, ma non per me.

Lui è – da ventiquattr’ore – il marito della mia più cara amica.
Naturalmente ha molte altre qualità, ma quella che ci interessa ai fini di questo post è che, fra le altre cose, è un appassionato di cucina. Uno di quei ragazzi che si diverte a scoprire nuove ricette, a sperimentare, a mettersi ai fornelli per parenti e amici.
Ora: se quest’uomo aveva un modo per conquistarsi in due secondi netti la mia stima imperitura, tal modo era venirmi a chiedere la ricetta della bagna cauda. (La bagna cauda!) (Quella per cui tutto il resto del mondo ci prende in giro dicendo “uddio che schifo!”) (E non solo l’ha preparata, ma ne ha anche fatto un capolavoro e poi l’ha riproposta a tutti i suoi amici, come piatto forte, al cenone di Capodanno!!) (La bagna cauda!! Vi rendete conto?!).

Ora, la situazione è questa: la mia carissima amica s’è sposata ieri mattina, e io avrei voglia di lasciarle anche su queste pagine un “biglietto d’auguri” per il suo matrimonio.
In genere mi butto sulla teologia del matrimonio nella Chiesa Medievale, ma se faccio una cosa del genere la mia compagna di studi inarca un sopracciglio e dice “ah-ah. Sì, l’hai copiato paro paro dai dal mio quaderno perché quel giorno stavi male e ti avevo passato i miei appunti, non ti ricordi?”.
Insomma, no: capite bene che non funziona.

E che ci scrivo, allora, su questo biglietto d’auguri virtuale?
Scartata la Storia della Chiesa, l’unica alternativa praticabile mi sembra la Storia della cucina: e così, il mio biglietto di auguri per i due sposi arriva sottoforma di ricetta per un piatto tipico del Monferrato: la mnestra marià.
“Minestra sposata”, tradotto letteralmente.

Se cercate su Google “mnestra marià”, non vi viene fuori proprio niente.
Se cercate su Google “minestra sposata”, il motore di ricerca vi manda su una pagina di ricette per la “minestra maritata”, un primo piatto campano molto diffuso nella zona di Napoli.
Evidentemente, non stiamo parlando dello stesso piatto.
No: la mnestra marià è un piatto tipico del Monferrato – uno di quei piatti semplici e rustici tipici della cucina povera; roba che i due sposi giustamente me lo tireranno dietro, perché “che razza di ricetta è?”.

Niente di che, obiettivamente. Gli ingredienti sono poveri e semplicissimi: brodo vegetale, un pugno di riso, formaggio da grattare, uova e limone. E anche la ricetta, porella lei, non è certo nouvelle cuisine: in primo luogo, si prepara il brodo vegetale (generalmente, a base di carote, gambi di sedano, spinaci, coste e patate – il tutto aromatizzato con rosmarino, prezzemolo, salvia e maggiorana).
Dopo un’ora di cottura, il brodo viene filtrato e aggiustato di sale. Lo si piazza in un pentolino, e, mentre lui sobbolle, ci si versa dentro un po’ di riso (un pugno a testa, per ogni commensale), utilizzato come se fosse pastina da minestra.

E fin lì, si tratterebbe di preparare una banalissima minestra al riso.

Per quale ragione al mondo questa minestra al riso viene dunque definita “minestra sposata”?
Beh… perché, a questo punto, si sposa con altri ingredienti – in uno di quei matrimoni che inizialmente ti fanno storcere il naso, tipo “mah… non me li vedo mica bene, assieme, ‘sti due”; ma che poi, alla prova dei fatti, si rivelano un’unione decisamente niente male!
Mentre il riso cuoce, infatti, il cuoco versa, in una zuppiera a parte, abbondante formaggio grattugiato, la buccia grattugiata di mezzo limone, e uova intere quanto basta (un uovo ogni due commensali). Poi, mescola il tutto fino ad ottenere un composto fluido ed omogeneo.
A questo punto, è arrivato il momento di versare la minestra di riso nella zuppiera con formaggio e uova, mescolando rapidamente per far amalgamare bene i due composti. A contatto con il brodo caldo, l’uovo sbattuto si rapprende e cuoce immediatamente: a quel punto, la minestra può essere portata in tavola, eventualmente accompagnata da crostini caldi in abbondanza.

‘na via di mezzo fra la minestra di riso e la stracciatella romana, insomma.
Niente di che: la cucina povera s’assomiglia in tutte le parti d’Italia.

Ma allora, perché parlare proprio di mnestra marià in questo biglietto d’auguri per i novelli sposi?
Non solo per il nome evocativo della ricetta, ma anche perché, per me, la mnestra marià incarna proprio il significato vero di “famiglia”.

A quanto mi raccontano i miei genitori e i miei nonni, questa minestra era un piatto particolarmente gettonato nelle cene delle cascine di campagna, perché, per sua stessa natura, la preparazione riusciva a soddisfare un sacco di palati diversi.
In quelle epoche lontane in cui, nella stessa cascina, vivevano gli anziani genitori, assieme ai figli e alle nuore e ai generi, con una marmaglia di nipotini/cuginetti che crescevano assieme sotto lo stesso tetto… beh: la mnestra marià era un po’ una manna dal cielo; si prestava a soddisfare le esigenze di tutti quanti.
La nonnetta novantenne e il bambino appena svezzato hanno bisogno di un pasto leggero? Benissimo: prima di aggiungere uova e formaggio alla minestra, ne teniamo da parte due ciotoline per chi ha bisogno di un brodino semplice.
Gli uomini, stanchi dopo una giornata nei campi, hanno bisogno di una cena energetica? Ecco a loro una bella minestra rinforzata con uovo e formaggio: ‘na botta di energia mica da poco!
I bambini golosi vogliono sapori intensi per coprire il gusto di verdure, che non gli piace? C’è qui in tavola una forma di grana: se qualcuno vuole sapore-extra, nulla vieta di grattugiarsene ancora un po’ nel proprio piatto. O di far sciogliere nel brodo caldo addirittura una succulenta fetta di formaggio di montagna…

Insomma, la mnestra marià era il “cibo da famiglia” per eccellenza: quello che puoi portare in tavola senza paura, perché sai che soddisferà tutti i palati e tutte le esigenze.
E nella sua semplicità assoluta (…ma non sono forse la semplicità e lo star coi piedi per terra, le chiavi di successo per ogni relazione?), mi sembra che possa comunque insegnare qualche lezione importante.

Uno: non bisogna necessariamente strafare, per stare bene assieme.
Il pranzo di famiglia non è sempre fatto di arrosti succulenti e di pranzi al ristorante – un po’ perché la vita è complicata e ogni tanto tocca anche ricorrere ai piatti pronti microonde, e un po’ perché a volte, ahimé, non si ha la disponibilità (… o anche solo lo spirito giusto) per mettersi a organizzare cenette a lume di candela.
Ovviamente, la frase va presa sia in senso letterale sia in senso metaforico.
È un grosso problema? Mannò: è normale.
Ma pur nella fretta, pur nelle difficoltà, bastano giusto giusto un pizzico di impegno e di inventiva per riguadagnare immediatamente il sorriso sulle labbra. Un minestrone di riso è sciapo e deprimente, okay: ma basta quel tocco in più a dagli quel nonsocché che lo rende immediatamente più gustoso, e a farti pensare “beh: tutto sommato, sarà pure una minestra di riso ma non è neanche così male”…
…e, in fin dei conti, non succede così anche per la nostra vita?
Nella semplicità quotidiana, senza nemmeno dover fare chissà che.

Due: ci sono divergenze? E pazienza!
A me fa schifo l’uovo, tu adori l’uovo. Io sono una fan del formaggio, a te da la nausea solo l’odore.
Tu vuoi l’uovo nella minestra, a me disgusta la sola idea. Io voglio condirla col parmigiano; tu, piuttosto, preferiresti ingurgitare olio di fegato di merluzzo.
E pazienza, a tutto c’è un rimedio: basta accordarsi su una ricetta-base che soddisfi tutti i palati, poi ognuno fa sempre in tempo ad aggiustarla secondo il suo gusto.
A suo modo, ci vedo delle somiglianze con la normale vita di coppia: “due in una sola carne” mi sta bene, ma questo non vuol dire che si diventi necessariamente cloni l’uno dell’altro.
Che ci sian delle differenze è normalissimo, e secondo me non è necessariamente un male. Come in questa ricetta, basta giusto qualche accorgimento per evitare di scannarsi tutti i giorni all’ora di pranzo: basta mettersi d’accordo su una base di partenza che sia okay per tutti… e poi, ognuno fa sempre in tempo a metterci del suo.
Talvolta, poi, ti dice particolarmente bene, e scopri che il “suo” uovo e il “tuo” parmigiano si bilanciano a vicenda, e viene fuori – incredibile ma vero! – un piatto che piace a entrambi.

Tre: la vita può complicarsi, ma tu non devi soccombere.
Se c’è una cosa che odio, è dover cucinare per una torma di persone: ce n’è sempre una. Il bambino piccolo c’ha le fisime e mangia solo pasta in bianco; il fratello grande, porello, ha l’allergia all’uovo e lì non si scherza; non si scherza neanche col nonno, che ha il colesterolo troppo alto, e con Peppino che è fissato ed è un vegano integralista (ma, del resto bisogna, pur venirgli incontro, se gli vuoi bene!).
Anche qui, come sopra, mi sembra che la nostra mnestra marià proponga una soluzione che viene incontro a tutti; fuor di metafora, e dentro metafora.
Inevitabilmente la vita si complica e talvolta si può anche credere di non farcela – vuoi per un vago senso di esasperazione, vuoi per oggettive difficoltà più serie; vuoi per tensioni in famiglia dopo che Peppino è diventato vegano e suo padre cacciatore non l’ha presa troppo bene.
Ma anche lì, una soluzione si trova.
Con un pizzico di inventiva e un po’ di spirito d’adattamento, un piatto semplice come la mnestra marià può metter d’accordo tutti quanti. Di certo è una fatica in più per il poveraccio che sta ai fornelli, e probabilmente il pranzo diventa una baraonda perché tutti si devono condire la minestra nel proprio tavolo e la tovaglia sembra trasformarsi in un campo di battaglia… ma vuoi mettere la soddisfazione, quando vedi che tutti si alzano da tavola col sorriso sulle labbra?
A volte non è un risultato così scontato, e a volte bisogna lavorarci sopra con inventiva (e senza farsi abbattere dalla frustrazione), ma… grazie al cielo, l’esperienza mostra che ce la si fa!

***

Sì. Pur nella semplicità assoluta di questa ricetta contadina, mi sembra che questo piatto (e soprattutto, la sua genesi di “piatto di famiglia studiato per soddisfare tutti i palati”) possa, nel suo piccolo, testimoniare tante cose.
E forse non è un caso, che abbia questo nome così buffo. “Mnestra marià”, una “minestra sposata” che vive il suo matrimonio… da alcune centinaia d’anni.
E una con così tanta esperienza in materia, secondo me, ne sa, di vita matrimoniale. Anche se è solo un misero piatto di minestra.

Ai due novelli sposi:
con l’augurio di un matrimonio ben riuscito,
fatto di ingredienti semplici ma combinati con sapienza,
ricco di sapore e dalla dolcezza persistente,
e con un profumo così intenso e una presentazione così bella
da far venire agli altri l’acquolina in bocca!

8 risposte a "Auguri agli sposi: la “mnestra marià”!"

    1. Lucia

      Che io sappia, nei matrimoni, in genere, il vino gustosissimo che completa la portata lasciando tutti a bocca aperta, lo fornisce Gesù con una ricetta sua propria che non si trova da nessun’altra parte… 😉

      (Anche perché, ad aspettare consigli enologici da me che sono totalmente astemia, si casca male… :-P)

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  1. Emilia

    Anche a me è venuta in mente la minestra che si mangia in quel di Napoli. Stando a quello che mi ha spiegato mia madre, il principio dev’essere il medesimo di quella di cui parli tu.

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    1. Lucia

      …beh, penso di sì: in linea di massima, il nocciolo della questione era sempre preparare un piatto adatto a tutti i palati, e/o riuscire a impreziosire un piatto “noioso” aggiungendoci quei pochi avanzi che ti trovavi in dispensa…

      La ricetta napoletana prevede l’aggiunta di carne, vero?

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  2. dabogirl

    stavo dormendo in albergo e sono corsa a leggere questo post perché, forse per averne letto il titolo ieri, stanotte ho sognato il tuo Matrimonio.
    tra gli altri dettagli del sogno, c’era che si cenava con… minestra.
    😉

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    1. Lucia

      Oooohhh, sapeste lettori di passaggio: Daborgirl mi ha descritto il suo sogno ed era IL MATRIMONIO PERFETTO: otto invitati in tutto (genitori, fratelli, due altri invitati e lei), chiesa spoglia da far pena; il pranzo di nozze consisteva in piattoni di minestra fetida serviti in piedi nella canonica, e poi via smammare.

      Credo che il mio matrimonio dei sogni sarebbe qualcosa di molto simile 😀
      (Si vede, sì?, che son misantropa asociale?)

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